mercoledì 27 maggio 2020

"La peste non ha frontiere", Primo levi - STEP #14




Sitografia:
Archivio La Stampa

"I fantasmi di Chernobyl" - STEP #14


Il disastro di Černobyl' - STEP #14


Il 25 aprile 1986 il personale del reattore n.4 della centrale nucleare V.I. Lenin, situata in Ucraina settentrionale, iniziò un test definito "di sicurezza" per verificare l’efficienza delle turbine. Negli anni precedenti la centrale era stata oggetto di numerose indagini da parte del KGB per presunti problemi ed incidenti che furono omessi e nascosti. Durante quella fatidica sera di aprile vari errori e difficoltà vennero nuovamente a galla ma i tecnici, violando norme di sicurezza e di buon senso, proseguirono i test fino a quando, il 26 aprile 1986, alle ore 1:23:45 del mattino, un incontrollato aumento della potenza del nocciolo del reattore n. 4 della centrale determinò la disintegrazione delle barre di alimentazione di uranio e la rottura delle tubazioni del sistema di raffreddamento. La conseguenza di questa frattura fu una fortissima esplosione, che provocò lo scoperchiamento del reattore e un vasto incendio. Quest’ultimo, non coperto da strutture di contenimento, rilasciò una massiccia nuvola di materiale radioattivo che ricadde sulle aree intorno alla centrale, contaminandole pesantemente.

Centrale dopo l'esplosione del reattore

Inizialmente la notizia non venne data in maniera ufficiale ma arrivò in Occidente solamente grazie a un radio amatore e alle stazioni di controllo esterne.

Il repentino intervento di numerosi volontari e di elicotteri che scaricarono sabbia, piombo e carburo di boro portò alla copertura del reattore. Inizialmente questi lavoratori non furono informati sulla reale gravità della situazione e sulla quantità enorme di radiazioni emesse e moltissimi di loro, addirittura, non furono neanche forniti delle giuste protezioni mentre le aree circostanti vennero evacuate dopo ben 36 ore.
Le nubi radioattive, in circa dieci giorni, raggiunsero anche l'Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia con livelli di contaminazione via via minori, toccando anche l'Italia, la Francia, la Germania, la Svizzera, l'Austria, i Balcani, e porzioni della costa orientale del Nord America.


Tutti i paesi coinvolti furono costretti ad adottare norme di sicurezza molte rigide ed inoltre, il 9 maggio avvenne un’altra esplosione che portò al rilascio di nuovo materiale nocivo in un raggio di 35 km e che rese necessaria la costruzione di un sarcofago per chiudere definitivamente il reattore.

I colpevoli del disastro di Černobyl', ovvero i tecnici e il direttore dell’impianto Viktor Bryukhanovfurono processati e condannati.  Esso è il più grave incidente nucleare mai avvenuto in una centrale nucleare, ed è uno dei due incidenti classificati come catastrofici con il livello 7 (massimo della scala INES) dall'IAEA, insieme all'incidente verificatosi nella centrale di Fukushima Dai-ichi nel marzo 2011.

Il triste episodio ha provocato, secondo un rapporto redatto da agenzie dell'ONU, 65 morti accertati e più di 5000 casi di tumore della tiroide, probabilmente attribuibili alle radiazioni, fra coloro che avevano da 0 a 18 anni al tempo del disastro. Tuttavia, risultati certi non si potranno mai avere, soprattutto a causa dei numerosi effetti a lungo termine causati dall’esposizione a questo materiale nocivo; inoltre, nel corso degli anni, sono sorti moltissimi studi sul calcolo delle persone coinvolte, con risultati differenti che hanno spesso portato a pensare ad una censura del numero reale di vittime, viziata da conflitti di interessi.
Per esempio, nello studio Torch (The Other Report on Chernobyl), commissionato dal gruppo dei Verdi del parlamento europeo, si parla di 30-60mila vittime mentre un team di scienziati diretti dal biologo Alexey Yablokov, membro dell’Accademia russa delle scienze, ha dichiarato una stima di quasi un milione di morti.

Uno dei principali contestatori dei risultati ufficiali fu Greenpeace, che ha presentato una stima di 6.000.000 di decessi su scala mondiale nel corso di 70 anni, contando tutti i tipi di tumori e deformazioni riconducibili alle radiazioni emesse durante il disastro.

La "città fantasma"


Sitografia e approfondimenti:
CHERNOBYL: il disastro in 3 minuti 

(i link ad ulteriori riferimenti e/o approfondimenti sono presenti all'interno del testo)

L'aeronautica - STEP #13

Il desiderio di volare accompagna l’uomo da sempre: lo si può già osservare, per esempio, nel mito greco di Dedalo ed Icaro, rispettivamente padre e figlio. Dedalo era un grande scultore, architetto ed inventore a cui Minosse commissionò la costruzione del labirinto per rinchiudere il Minotauro. Vi sono due versioni di questa storia: secondo la prima, Dedalo costruì delle ali con le piume degli uccelli e la cera per se stesso ed Icaro con lo scopo di fuggire dal labirinto in cui erano stati rinchiusi dal re di Creta per aver aiutato Arianna e Teseo ad uccidere il Minotauro e ad uscire dal luogo di prigionia, grazie al consiglio del filo; secondo l’altra versione, ovvero quella presente nelle Metamorfosi di Ovidio, l’inventore creò quel metodo di fuga solamente per crescere il figlio in un luogo lontano da Creta, da cui non poteva allontanarsi per volere del re.
Dedalo riuscì a completare la sua invenzione e di conseguenza a fuggire con il figlio a cui raccomandò più volte di non volare troppo in basso per evitare che la salsedine e l’umidità del mare lo trascinassero in acqua e, allo stesso tempo, di non spingersi troppo in alto perché il sole l’avrebbe bruciato e avrebbe sciolto la cera. Tuttavia, il ragazzo, colmo di eccitazione e di felicità alla vista delle meraviglie dei mari e delle terre, si spinse troppo in alto dove i raggi del sole provocarono quello che aveva previsto il padre: così Icaro precipitò e morì.
Il mito presenta diversi spunti di riflessione: da una parte vi è un padre che per provare ad assicurare un futuro migliore al figlio mette a rischio la proprio vita e quella del suo amato erede, dall’altra vengono evidenziati i limiti dell’uomo imposti dalla natura, che egli non deve oltrepassare ma deve, invece, cercare un equilibrio nella propria vita, ovvero non scendere troppo in basso e, allo stesso tempo, non volare troppo in alto.

La conseguenza del sogno innato di volare è stata l’immaginazione e la progettazione di “macchine volanti”: il matematico e filosofo Archita da Taranto, vissuto quattro secoli prima di Cristo, è considerato il primo costruttore di un oggetto alato in grado di effettuare brevi voli.
Il primo tentativo di volo meccanico, invece, è stato eseguito da Abbas ibn Firnas, che lanciò una sorta di ornitottero dal Monte della sposa vicino Cordova, in Spagna nell'875 d.C. Successivamente Ruggero Bacone, filosofo e scienziato del 1260, iniziò a riflettere sui mezzi tecnologici per il volo e i suoi pensieri iniziarono ad avere una realizzazione concreta nel Rinascimento, con Leonardo da Vinci che affrontò il desiderio umano di spiccare il volo mediante un solido criterio scientifico. Egli studiò l’anatomia umana e il movimento (in particolare il volo degli uccelli e degli insetti) e capì che gli umani non sono in grado di sfruttare semplici ali attaccate alle braccia sia per il peso troppo elevato del corpo sia per la forza che non è sufficiente. Per questo motivo progettò l’ornitottero, un mezzo in cui l'aviatore è disteso su una tavola e manovra due grandi ali usando dei pedali e delle leve.


Appunti e schizzi di Leonardo






“Chi ha provato il volo camminerà guardando il cielo, perché là è stato e là vuole tornare.” 
- Leonardo da Vinci







Questo progetto venne ripreso moltissime volte nel corso della storia, per esempio da Gustave Trouvé, a cui si deve il primo modello in grado di volare o da Lawrence Hargrave che costruì diversi ornitotteri mossi da vapore o aria compressa; ancora oggi gli studi continuano e nel 2010, Todd Reichert, dottorando all'Università di Toronto, è riuscito addirittura nell’impresa di volare a bordo di un ornitottero per 19,3 secondi coprendo 145,3 metri alla velocità di 25,6 km/h, utilizzando la sola forza dei muscoli delle sue gambe per far battere le ali.

Tornando nuovamente indietro nel passato, è sicuramente degna di nota l’invenzione del primo aeromobile, in grado di portare un essere umano in cielo, da parte dei fratelli Joseph-Michel Montgolfier e Jacques-Étienne Montgolfier nel XVIII secolo. L’intuizione per la loro creazione provenne probabilmente dall’osservazione casuale di panni posti ad asciugare che, per effetto del fuoco, si sollevavano verso l'alto.
La prima dimostrazione pubblica del funzionamento della cosiddetta mongolfiera fu il 5 giugno del 1783 ad Annonay: il volo coprì circa 2 km, durò 10 minuti e raggiunse l'altitudine stimata di 1.600-2.000 metri. Oltre alla popolarità dei fratelli, crebbero di pari passo moltissimi dubbi sui possibili effetti di un volo in alta quota sugli esseri viventi. Per questo motivo, probabilmente, re Luigi XVI emanò un bando attraverso cui proibiva qualsiasi volo compiuto da persone; di conseguenza, il 19 settembre del 1783 l'"Aerostate Révellion" venne fatto volare con a bordo una pecora, un'oca ed un gallo, i quali completarono il volo indenni.

Presentazione della mongolfiera a Versailles




Il primo volo eseguito da uomini su un aerostato ad aria calda (intitolato alla regina Maria Antonietta) avvenne il 21 novembre del 1783 ed esso creò stupore e aumentò a dismisura la fama dell’invenzione dei fratelli Montgolfier.
Grande successo ebbe anche l’ode che Vincenzo Monti, esponente per antonomasia del Neoclassicismo italiano, dedicò all’impresa dei due inventori, paragonandola a quella mitica degli Argonauti (Ode al Signor di Montgolfier).







Tuttavia, se si parla di fratelli inventori i più famosi sono probabilmente i WrightWilbur e Orville, alla cui invenzione è stata accreditata la nascita dell’aeronautica moderna.



Da allora i veicoli aerei hanno continuato ad evolversi di pari passo con la scienza, fino a diventare, purtroppo, anche armi belliche.




(i link a riferimenti e/o approfondimenti sono presenti all'interno del testo)

La "profezia" di Ruggero Bacone - STEP #12


«Arriveremo a costruire macchine capaci di spingere grandi navi a velocità più forti che un'intera schiera di rematori e bisognose soltanto di un pilota che le diriga. Arriveremo a imprimere ai carri incredibili velocità senza l'aiuto di alcun animale. Arriveremo a costruire macchine alate, capaci di sollevarsi nell'aria come gli uccelli»

(Ruggero Bacone, De secretis operibus artis et naturae IV)

Roger Bacon




Nelle parole di Ruggero Bacone (in inglese Roger Bacon o Bachon), frate francescano, filosofo della Scolastica, scienziato (considerato uno dei rifondatori del metodo scientifico), teologo ed alchimista inglese, oltre alla visione profetica, si può scorgere un pensiero scientifico basato sull’idea di un progresso pressoché illimitato grazie a cui gli uomini possono realizzarsi anche spiritualmente. 
Il filosofo immagina, perciò, una scienza al servizio della pratica in cui tutte le conoscenze, anche quelle di origine occulta, possono contribuire al progredire della società cristiana.







"Il fine prossimo delle cose naturali sono le opere artificiali, ma il fine ultimo è la beatitudine futura: poiché il fine delle opere artificiali è la virtù e il fine della virtù è la beatitudine futura, non solo secondo la fede, ma anche secondo la filosofia, come Aristotele, Avicenna e altri affermano".

“L'arte porta a perfezione la natura, la virtù porta a perfezione l'arte, la felicità porta a perfezione la virtù."

Secondo il pensiero baconiano, quindi, il superamento della natura è una condizione necessaria e sufficiente per l'uomo per raggiungere la felicità futura.

Tuttavia, soprattutto nel mondo odierno, possiamo osservare che la manipolazione eccessiva della natura a servizio delle attività umane non è la risposta a tutte le esigenze; la scienza, nonostante le sue incredibili potenzialità, non può garantire una crescita umana illimitata: esistono dei limiti allo sviluppo.

Approfondimenti:

(i link ad ulteriori riferimenti e/o approfondimenti sono presenti all'interno del testo)

mercoledì 13 maggio 2020

La trasmissione del COVID-19 - STEP #11


La malattia da coronavirus, come molte altre infezioni delle vie respiratorie, si trasmette principalmente per via aerea, attraverso le goccioline (droplet) che vengono prodotte e diffuse nell’ambiente quando parliamo, tossiamo o starnutiamo. Se queste goccioline vengono a contatto con le mucose di una persona (per esempio quelle della bocca, degli occhi o del naso), direttamente o perché trasportate dalle mani, il virus può introdursi nell’organismo e causare la malattia.
Gli studi hanno dimostrato che le goccioline non rimangono sospese nell’aria per molto tempo e sono in grado di percorrere una distanza breve; infatti, la trasmissione diretta da persona a persona avviene prevalentemente se la distanza tra i due soggetti è inferiore a 1 metro.

Da questa modalità di contagio è derivata la necessità di un distanziamento dalle altre persone di almeno un metro e di un utilizzo di mascherine e guanti quando ci si reca al di fuori della propria abitazione.

L’approvvigionamento di mascherine è uno dei tanti argomenti di dibattito in voga nel nostro paese per i problemi di distribuzione di questo materiale, legati al prezzo, alla quantità, alle numerose truffe e all’etica: è moralmente ed economicamente corretto far pagare alle persone un bene quasi necessario per la loro salute e sopravvivenza?


Sitografia:
Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri

(i link ad ulteriori riferimenti e/o approfondimenti sono presenti all'interno del testo)

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